Madre mia – Antonia Casagrande

Madre mia

 

Stanca ma altera

mi vieni a cercare

in questa stanza

dell’ospedale.

Mi porti un fiore

una carezza

per alleviare

la mia tristezza.

Sei tu la visita

la più sentita

tra tante facce

la più gradita.

Sei la mia mamma

guai se mi manchi

asciughi calma

tutti i miei pianti.

Se torno a vivere

ringrazio te

perché hai saputo

credere in me.

E al mio fanciullo

voglio insegnare

l’amore eterno

che mi hai donato

il bene immenso

che non ti ho dato.

 

 

Antonia Casagrande

e mail: antonia.casagrande@virgilio.it

account twitter: @antoniacasagra1

Da “Clara” – Quadro I: “Ali” [3 parte] – Chiara Prezzavento

[…]

WELLMAN – Sì? Lo spero bene. Dick l’ho preso per due motivi: uno, sa pilotare un aereo, e due, mi sembra un gran bel figliolo. Però, Clara, parlando di questo…

 

CLARA – Vuoi il parere di una signora?

 

WELLMAN – Tesoro, se volessi il parere di una signora, tu sei l’ultima a cui chiederei.

 

CLARA (ride, per niente offesa, e gli dà una botta su una spalla) – BÈ, che razza di… Signore sottomano non ne ho, ma sta’ a vedere. – (chiama) – Dotty!

 

DOTTY (entra) – Sì, Miss.

 

CLARA – Che fulmine! Dì un po’, stavi origliando?

 

DOTTY (inorridita) – No, Miss! Io… io…

 

CLARA – Fa’ lo stesso, senti qua: cosa te ne pare di Buddy Rogers?

 

DOTTY (con un gran sorriso) – È carino.

 

CLARA – E Dick Arlen?

 

DOTTY (avvampa) – Oh, Miss, è così bello, Mr. Arlen!

 

CLARA (a Wellman) – Che ti avevo detto? Certi uomini ti fanno sorridere e certi altri ti mandano il sangue alla testa. E in altri posti. – (a Dotty, maliziosa) – E di Mr. Wellman, Dotty, che cosa ti pare?

 

DOTTY (sprofonda nella più completa e balbettante confusione) – Ma Miss! Io… ossignore, Miss!

 

WELLMAN – Ci manca solo questa! Fila via, Dotty. – (Dotty corre via in un convulso di risatine) – Dio ci salvi dalla tipica ragazza americana. Dove l’hai pescata, Clara?

 

CLARA – Che ne so? Beulah ha deciso che mi serviva una cameriera come si deve, e un giorno me la sono trovata qui.

 

WELLMAN – Lascia fare a Beulah, tu! Però non raccontarla a tutto il set, questa storia, vuoi?

 

CLARA – E perché? Sai che risate si fanno tutti?

 

WELLMAN – Anche Dick e Buddy? Forse non te ne sei accorta, ma non è che vadano proprio d’accordo, quei due.

 

CLARA – Ma non mi dire! Con due ragazzi in un film, e tutti e due protagonisti, che cosa ti aspettavi? Ci sarebbe da preoccuparsi se non si odiassero a morte: quello non sarebbe sano!

 

WELLMAN – Può darsi. Però parliamoci chiaro: niente benzina sul fuoco, eh?

 

CLARA (con un gran sorriso e il principio di un’idea) – Senti senti…

 

WELLMAN – A film finito, sei padrona di fare quello che ti pare, ma a film finito. Questa produzione è già un massacro così com’è: ci manca solo che quei due si scannino per i tuoi begli occhi.

 

CLARA (innocente) – Oh. Dici che potrebbero?

 

WELLMAN – Se vuoi che creda che non ci avevi pensato, sei fuori strada, bambina. A te non ha niente da insegnare il diavolo in persona.

 

(Entra Beulah con bicchieri, ghiaccio e whisky su un vassoio)

 

BEULAH (con uno sguardo eloquente a Clara) – Whisky, Miss Clara.

 

CLARA – Grazie, Beulah, ma Mr. Wellman non se lo merita, il whisky. Non è mica venuto a trovarmi per il mio bel sorriso, sai? È venuto perché ha paura che faccia litigare Dick e Buddy.

 

BEULAH (con virtuosa indignazione) – Mr. Wellman! Sta cercando di dire che Miss Clara non è una brava ragazza?

 

WELLMAN – Sto cercando di dire, Beulah, che Miss Clara ha solo da entrare in una stanza perché tutti i maschi presenti sentano un’improvvisa primavera dei lombi. E che io ho i due giovanotti perfetti per la parte, là fuori, e farli scritturare è stata una faticaccia. E non sarò contento se cominciano a comportarsi come due galli cedroni in amore perché Miss Clara ha battuto le ciglia a uno o all’altro, o a tutti e due.

 

BEULAH – E che colpa ha Miss Clara se quelle due mezze calzette…

 

CLARA – Sta’ buona, Beulah. Mr. Wellman ha ragione: la sua carriera dipende tanto da questo film, e io posso rovinare tutto, se non sto attenta. Vero, Bill?

 

WELLMAN (comincia ad avere la sensazione di essere caduto in trappola) – Non esageriamo, adesso. È solo…

 

CLARA (cinguetta) – È solo che Bill sa di potersi fidare di me, Beulah. Sono venuta su a Brooklyn, io. E là non vieni su per niente, se non impari a tenere gli uomini a posto. Non preoccuparti, Bill: a Dick e Buddy posso far fare quello che voglio. Me li rigiro attorno al mignolo.

 

WELLMAN – Sono più preoccupato che mai, tesoro.

 

(Beulah si schiarisce significativamente la voce)

 

CLARA – Ma no,vedrai: io sarò un angelo, tutti saranno molto felici e questo cast sarà come una grande famiglia.

 

WELLMAN – Favoloso. – (si alza) – E, tanto per sapere, che vuoi in cambio, Clara?

 

CLARA (ride, sinceramente deliziata e lo prende sottobraccio) – Credevo che non lo chiedessi più! Ma niente di che, sai. Giusto una staccionata.

 

(Beulah fa frenetici cenni di no)

 

WELLMAN (sobbalza) – Una…

 

CLARA (pilotandolo verso la porta) – Una staccionata, una spalliera, una… come si chiamano quelle cose da giardino? Come quelle per le rose rampicanti, però senza le rose. Sta’ a sentire… – (escono a sn.)

 

BEULAH – Oh, santa Brigida e santi tutti dell’Irlanda verde! – (si siede sconsolata e si versa una generosa dose di whisky) – Io le tiro il collo! – (Dotty fa capolino da dx)

 

CLARA (rientra a passo di danza) – E chi è che domani arriva scavalcando una staccionata?

 

DOTTY – Oh, Miss, ce l’ha fatta!

 

BEULAH – Ce l’ha fatta un accidente! Si può sapere che cosa ti è saltato in testa?

 

CLARA (le prende di mano il bicchiere e sorseggia) – Come sarebbe? Ha detto di sì.

 

BEULAH – Ma avrebbe detto di sì a qualsiasi cosa! Non vedi com’è preoccupato per quei due galletti? Questa è un’arma, dovevi tenerla da parte per qualcosa di grosso, non buttarla via così. Le gambe te le faceva mostrare comunque!

 

CLARA – Cavolate! Ho avuto quello che volevo o no? Lui mica lo sa che mi vedo già con Dick, con Buddy e altri tre o quattro, e nessuno sa degli altri!

 

BEULAH –Tu proprio non sai giocare le tue carte! Mi fai venir voglia di sculacciarti, e bada che lo farò, quando vorrai qualcosa per davvero, e verrai a piangere da me.

 

CLARA (la abbraccia ridendo e la trascina in un passo di danza) – Neanche per idea, brutta bestiaccia! Quando vorrò qualcosa per davvero, mi darò da fare per averla, altro che piangere! Dotty, va’ a prepararmi il vestito blu. Anzi, quello argento.

 

BEULAH – Dotty, non muoverti! Dove credi di andare, vestita d’argento?

 

CLARA – Dove vuoi che vada? A cena e a ballare!

 

BEULAH – Tu sei tanto bella, Pasticcino, ma se hai del sale in quella testolina, è tutto andato a male. Domattina girate presto!

 

CLARA – Oh, piantala di brontolare! Vediamo un po’… – (prende il cappellino, chiude gli occhi e lo lancia in aria) – È caduto su un mazzo, Dotty?

 

DOTTY – Sì, Miss. – (corre a prendere il biglietto dal mazzo fortunato e lo porta a Clara)

 

BEULAH – E domattina sul set avrai gli occhi tutti pesti!

 

CLARA – A domattina ci penserò domattina. – (legge il biglietto e scoppia a ridere) – Carissima Sputafuoco, ti andrebbe di venire a cena con me? Tuo Gary Cooper.

 

DOTTY (delusa) – Gary Cooper? E chi è?

 

CLARA – Uno da sangue alla testa, Dotty, fidati.

 

BEULAH – Cooper? Quello che faceva lo stuntman? Oh santa… Che cosa dirà Mr. Wellman?

 

CLARA – Mica lo deve sapere. E se anche, può essere contento che non esco né con Dick né con Buddy – per stasera. Vieni, Dotty: lamé d’argento. – (a Beulah) – E comunque, se lo vuoi sapere, Bill ha detto che io non ho bisogno di Ali, che ho già tutto quello che serve.

 

BEULAH – Che serve per cosa?

 

CLARA – Per prendere il volo, cacchio!

 

(Esce ridendo)

 

 

Chiara Prezzavento

http://senzaerroridistumpa.myblog.it  

www.chiaraprezzavento.com

Twitter: @laClarina

Acrobatico – Emma Pretti

Acrobatico

 

Guarda in basso dal profilo tagliente della roccia calda;

un calore inospitale, scomodo, ostile come il freddo.

Da quell’altezza il tramonto è ampio, il sole è ampio

e ancora ruggente verso le ombre scavate

da uno strapiombo di aria e  luce.

Non è il momento adesso per essere carini,

meglio se comici o terribili.

 

Guarda in basso torvo e avvilito.

Non sa cinguettare. E’ un lettore acrobatico

dell’umano e del primitivo.

Vorrebbe infischiarsene del fatto che

quest’ampio mondo lo tiene a distanza

e non gli offre che carcasse da spolpare;

pesta la roccia come fosse intirizzito

mentre sono le offese che gli bruciano,

i torti che rodono.

Si sente un misero camuffato da potente.

Sublime e devastato. L’eterno avvolto

nell’orrendo.

Nessuno ride, si ritraggono tutti disgustati:

un lebbroso sudicio farebbe un’impressione migliore.

L’avvoltoio gira su se stesso cercando di catturare

qualche sguardo, il più simile a un garbato interesse.

L’avvoltoio  ha un aspetto grottesco e repellente,

ma in volo allontana la terra, afferra l’infinito

e regna  sull’immondizia di tutti.

 

 

Emma Pretti

Twitter: @Emmapretti

Blog:  emmapretti.wordpress.com

Da “Clara” – Quadro I: “Ali” [2 parte] – Chiara Prezzavento

[…]

CLARA – Sta’ zitta, Dotty! All’improvviso, vedo Jack sotto la macchina. – (rivolta a una cinepresa immaginaria, solleva le mani in un gesto di sorpresa e s’illumina in viso) – Jack! Poi corro verso la macchina e mi ci appoggio per parlare con lui che è sotto. Così. – (si appoggia al tavolino con entrambe le mani, col posteriore tanto in aria quanto si può) – Così. – (Si dondola di qua e di là) – E così! – (solleva una gamba all’indietro) – Meglio?

 

BEULAH – Didietro bello in vista, gambe neanche l’ombra. Come avere addosso una campana.

 

CLARA (con un’esclamazione di disgusto si lascia cadere a sedere sul tavolino) – E il resto della scena è anche peggio! Vieni fuori di lì, Dotty.

 

DOTTY (emerge da sotto il tavolino) – È almeno una scena con un bacio, Miss?

 

CLARA – Macché! Sta’ sicura che in Ali, di baci ne vedo pochini. Tutto aerei, guerra, battaglie, e un uomo che sembra un ragazzino del liceo.

 

DOTTY – È così carino Mr. Rogers!

 

CLARA – Sì, Buon-Ragazzo-Buddy-Rogers! Mi fosse capitato Bel-Ragazzo-Dick-Arlen, almeno. – (Dotty dà in un gran sospiro sognante) – Oh, perché ho accettato questa parte, Beulah?

 

BEULAH – Perché ti danno tanti soldini, Pasticcino. E perché è di quei film che la gente si fa quattro isolati di fila per vederli.

 

CLARA – BÈ, non è di quei film che faccio io. Io sono La Ragazza Wow, non una verginella che guida le ambulanze! Vero, Dotty?

 

DOTTY (prende il coraggio a quattro mani) – Per me, lei è tutto quello che vuole, Miss. Anche la ragazza della porta accanto, perché no? Una stella come lei sa fare tutto.

 

CLARA (scoppia a ridere) – Oh Dio, devo proprio darti un aumento, Dotty! Sei meglio del gas del dentista per tirare su una poveretta. Scommetto che… – (si ferma, colpita da un pensiero) – Che cos’hai detto?

 

DOTTY – Che cosa ho detto?

 

CLARA – La ragazza della porta accanto!

 

DOTTY – Sì, è perché…

 

CLARA – Che arriva dal giardino accanto! Vieni qui, e anche tu Beulah. – (prende una sedia e la trascina dietro il divano) – Tenete fermo questo affare, non voglio rompermi una gamba. – (Beulah si siede su un bracciolo del divano, Dotty si appoggia con tutto il suo peso sull’altro) – Io sono in giardino e sento martellare. Allora corro alla staccionata, guardo di qua… – (sale in ginocchio sulla sedia e ripete la scena di sorpresa e letizia) – Jack! E mi arrampico… – (si arrampica sullo schienale del divano mostrando una generosa porzione di gambe) – E cosa vedete?

 

DOTTY e BEULAH – Gambe! 

 

CLARA (scivola a sedere sul divano) – E che ci voleva? Solo che me lo lascino fare…

 

BEULAH – Certo che te lo lasciano fare! Sei tu la stella del film, e se tu vuoi qualcosa te lo devono dare di corsa.

 

CLARA – Sì, come no?

 

BEULAH – Tu non sai farti valere, Pasticcino. Tu non sai quello che ti è dovuto. Io lo dico sempre: se non ci fossi io a badare a te…

 

(Si bussa alla porta)

 

CLARA – Oh, cacchio! Vieni, Beulah, aiutami a cambiarmi. Apri, Dotty. – (fa per scappare attraverso l’arco) – Scarpe! – (recupera le scarpe da sotto mobili diversi e scompare).

 

(Dotty va ad aprire la porta e fa entrare William Wellman, il regista di Ali, fresco da una giornataccia sul set. Wellman è un brusco giovanotto sulla trentina, con una testa disordinata di ricci scuri, vestito come si vestivano i cineasti del tempo: giacca e pullover sopra pantaloni e stivali da equitazione)

 

DOTTY – Buonasera, Mr. Wellman.

 

WELLMAN – Ciao, Dotty. Lo vuoi un buon consiglio? Se ti venisse mai voglia di fare la regista, piuttosto buttati dal sesto piano.

 

DOTTY – Sì, Mr. Wellman. Si accomodi, Mr. Wellman. – (con l’aria di chi si sforza di ricordare qualcosa) – Vuole attendere? Sento se Miss Bow è in casa. – (esce)

 

WELLMAN (le grida dietro) – Quella va bene per il telefono, Dotty, non quando la gente è già piantata in salotto. –  (scuote la testa, si siede sul divano e contempla con aria disgustata l’abbondanza di fiori. Quando nota il cappellino di Clara nel cesto, lo pesca con due dita e lo lascia cadere sul tavolino) – Andiamo bene!

 

CLARA (entra con aria felina) – Ehi, Bill!

 

WELLMAN – Ehi, Clara.

 

CLARA – Insegni le smorfie alla mia cameriera?

 

WELLMAN – Non capisce granché, ma almeno dà ascolto. Meglio di tante attrici che conosco.

 

CLARA – Ha ha. Perché non la prendi al mio posto? Più brava-ragazza di così si muore.

 

WELLMAN – Non tentarmi, Clara. Magari lei non cava gli occhi ai fotografi.

 

CLARA – È venuto a piangere da te? Brutto cretino!

 

WELLMAN – Non c’era bisogno, tesoro: strillavi talmente forte che ti sentivamo dal campo aereo. Lo vedi perché preferisco lavorare con gli uomini? I ragazzi non hanno fatto tante storie, loro.

 

CLARA – Buoni, quelli! Il primo che passa dice “sorridete” e loro si slogano la mascella!

 

WELLMAN – Sì, è una qualità che rende più facile la vita del regista.

 

CLARA – Cavolate! Va tutto benone se quello che dà gli ordini sa il suo mestiere, ma cosa fai quando arriva un deficiente? Lo devi sentire tu quello che va e quello che non va, sennò sei solo una scimmia ammaestrata.

 

WELLMAN – Ah sì? E tu cosa ne sai?

 

CLARA – Un bel niente, e non faccio neanche finta. Però certe cose le sento dentro, e ti dico che la foto fa schifo, perché è andata a finire che non siamo né i personaggi né gli attori, non è una scena del film e non siamo noi tre sul set. È una schifezza e basta.

 

WELLMAN – E a te non è saltato per la testa di sorridere, vero? Voglio dire, visto che gli altri sorridevano, visto che non era in carattere, almeno poteva essere buona pubblicità, invece di una schifezza.

 

CLARA – E allora, perché ci hanno fatto mettere in costume? E in posa così? Quello era Mary-Jack-e-David. Se volevano Clara-Buddy-e-Dick, dovevano metterci a un tavolino con i copioni e il caffè e…

 

WELLMAN (si prende la testa tra le mani) – Signore, dammi la pazienza. Vuoi il mio posto, Clara? Vuoi dirigerla tu, questa gabbia di matti, per duecento dollari la settimana? Vuoi decidere le foto, mangiarti il fegato, tenere buono l’Esercito, tenere buona l’Aviazione, spremere un centesimo dopo l’altro dai produttori e magari, se trovi il tempo, girare anche il film?

 

CLARA (ride) – Scampi e liberi!

 

WELLMAN – Ecco. E allora fai la brava ragazza, fai quello che ti si dice e non crearmi più guai di quelli che ho già.

 

CLARA – Sta’ a vedere che sono io che ti metto in croce, adesso! Solo perché ne ho dette quattro a un fotografo cretino?

 

WELLMAN – No, Clara, non per quello. Però, vedi, se evitassi di lamentarti di Rogers con quelle galline di truccatrici e parrucchiere…

 

CLARA – Non mi sono lamentata! È che Buddy è tanto caro, ma girare le scene d’amore con lui… cacchio, mi sembra di far la corte al mio cuginetto! Per dire, Dick è già tutta un’altra faccenda. Dick lo vedi subito che è un uomo.

 

[continua…]

 

 

Chiara Prezzavento

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Quadri Friulani – Pier Paolo Pasolini – Loretta Fusco

Assemblea dei braccianti

Assemblea dei braccianti sul Cormôr

Giuseppe Zigaina – 1952

 

 

Quadri Friulani – Pier Paolo Pasolini

 

Quadri friulani” è uno degli undici poemetti presenti nell’opera di  P.P. Pasolini “Le Ceneri di Gramsci” interamente dedicato al pittore e amico friulano Giuseppe Zigaina.

È un omaggio fattogli in occasione di una mostra dell’artista allestita a Roma e in quei versi si possono ritrovare i temi cari a Pasolini già presenti in “Poesie a Casarsa” dove è viva l’immagine bucolica di una natura incontaminata e un mondo rurale, archetipo del paradiso perduto.

 

              Quadri Friulani

        da “Le Ceneri di Gramsci

          di Pier Paolo Pasolini

 

Ti ricordi di quella sera a Ruda?
Quel nostro darsi, insieme, a un gioco
di pura passione, misura della nostra cruda
gioventù, del nostro cuore ancora poco
più che puerile? Era una lotta
bruciante di se stessa, ma il suo  fuoco
si spandeva oltre noi, la notte,
ricordi?, ne era tutta piena nel fresco
vuoto, nelle strade percorse da frotte
di braccianti vestiti a festa,
di ragazzi venuti in bicicletta
dai borghi vicini: e la mesta,
quotidiana, cristiana, piazzetta
ne fiottava come in una sagra.
Noi, non popolani, nella stretta
del popolo contadino, della magra
folla paesana, amati quanto
ci ardeva l’amare, feriti dall’agra
notte ch’era loro, del loro stanco
ritorno dai campi nell’odore
di fuoco delle cene… uno a fianco
all’altro gridavamo le parole
che, quasi incomprese, erano promessa
sicura, espresso, rivelato amore.
E poi le canzoni, i poveri bicchieri
di vino sui tavoli dentro la buia
osteria, le chiare facce dei festeggeri
intorno a noi, i loro certi occhi sui
nostri incerti, le scorate armoniche
e la bella bandiera nell’angolo più
in luce dell’umido stanzone.

Ora, lontano, diverso, nel vento quasi
non terrestre che smuovendo l’aria
impura, trae vita da una stasi
mortale delle cose, rivedo i casali,
i campi, la piazzetta di Ruda;
su, le bianche alpi, e giù, lungo i canali,
tra campi di granoturco e vigne, l’umida
luce del mare.

 

Anche nei quadri di Zigaina si possono ritrovare quelle atmosfere perché forte fu l’amicizia che li legò e un comune sentire.

Una delle opere più significative di Zigaina: Assemblea dei braccianti sul Cormôrè proprio un omaggio alla terra e a quel mondo antico che ancora credeva in una forma di solidarietà collettiva.

E l’immagine dei lavoratori friulani, che in una forma di sciopero al contrario, affluendo da ogni dove, deposte le biciclette, imbracciando il badile, rifecero volontariamente gli argini del greto del fiume, nell’intento di recuperarlo dal latifondo corrisponde  ad un’immagine cara a Pasolini che quel mondo l’aveva cantato e del quale si stava perdendo traccia.

 

 

Loretta Fusco

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Da “Clara” – Quadro I: “Ali” [1 parte] – Chiara Prezzavento

Da Clara – Quadro I: “Ali”

 

Settembre 1926. Salotto di una suite del St. Anthony Hotel, a San Antonio – Texas. A sinistra un passaggio verso l’ingresso, a destra un arco decorato conduce al resto dell’appartamento. Tavolini habillé, divani di cuoio nero, e gran tendaggi cercano di combinare uno stile spagnoleggiante ai dettami dell’ultima moda in fatto di lusso, con risultati discutibili. Il profluvio di mazzi, cesti e ciotole di fiori disposti su tutte le superfici piane (compreso il pavimento) non fa nulla per alleviare un certo qual senso di sovraffollamento.

 

Si bussa furiosamente alla porta di sn. Una giovanissima cameriera in uniforme schizza attraverso la scena, cercando di assestarsi la crestina bianca sulla testa, ed esce a sn per aprire la porta. Un istante più tardi rientra inseguendo Clara Bow che irrompe tempestosamente in scena. A ventidue anni, Clara è un piccolo fuoco d’artificio dagli enormi occhi castani e furibondi, e dalle labbra molto truccate.

 

CLARA – E che cacchio, Dotty!

 

DOTTY (pigola, ad occhi sgranati e adoranti) – Scusi Miss Bow. Buonasera, Miss Bow. Stavo…

 

CLARA (si strappa lo spolverino e lo caccia con malagrazia in mano a Dotty) – Sorridi, Clara! – (calcia via una scarpa) – Che ci vuole, Clara! – (via la seconda scarpa) – Fai uno sforzettino, Clara: su gli angoli della bocca! – (si leva il cappellino, rivelando un caschetto di capelli rosso fiamma, e lo scaraventa in un cesto di fiori) – Deficiente! – (Si getta a sedere sul divano. L’occhio le cade sulla semi-atterrita Dotty e si raddolcisce appena) – Mica tu, Dotty. Non farmi quegli occhioni da vitello.

 

DOTTY – Sì, Miss Bow. No, Miss Bow.

 

(Non vista, una donna di mezza età dall’aria matronale e placida si affaccia da dx, con degli abiti sul braccio e un nastro da sarta al collo. È Beulah, sarta/governante/cane da guardia di Clara)

 

CLARA – E che cacchio! Miss Bow, Miss Bow, Miss Bow… ti viene mal di pancia a chiamarmi Clara?

 

BEULAH – Guai a te se ti ci pesco, Dotty! – (a Clara) – Con chi ce l’hai, stavolta, Pasticcino?

 

CLARA – Beulah, dici che lo posso ammazzare, un fotografo?

 

BEULAH (scrolla una spalla) – Tutta pubblicità. Già mi vedo i titoloni: “Stella del cinema spara a fotografo sul set.” È di un giornale importante, almeno?

 

CLARA (ride suo malgrado) – Macché giornale! Un cretino della produzione, per le foto pubblicitarie, sai. Viene, ci fa mettere in ghingheri, uniformi e tutto, e poi ci piazza lì: Buddy di qua, Dick di là, e io in mezzo. E poi, “sorridete!”, fa. E quei due scimuniti sorridono come… come… ah! A loro due, dovevo sparare!

 

BEULAH – E che male c’è? Sorridevo anch’io, al posto loro! Due signor nessuno che fanno un film con Clara Bow!

 

CLARA – C’è che è tutto sbagliato! Che razza di foto è, con me che faccio Mary Preston e loro tutti Dick-e-Buddy-che-fanno-un-film? Gliel’ho detto, e anche al fotografo, ma niente da fare! Sorridi, Clara, non è difficile!

 

BEULAH – Non prendertela, Pasticcino, tanto in foto sei sempre uno schianto. – (viene ad appoggiare sul divano una gonna a quadri e una camicetta.)

 

CLARA – Hm. Fortuna che ci sei tu, Beulah. – (occhieggia dubbiosamente gli abiti) – È roba mia, quella?

 

BEULAH – Per la scena che girate domani. L’ho fatta mandare su dalla sartoria, perché quelle ragazze dei costumi non hanno idea, ma mi sa che qui c’è poco da fare. –  (Clara fa una smorfia) – Prova un po’.

 

CLARA (comincia a svestirsi, aiutata da Dotty) – Fatti mandare su anche l’uniforme, già che ci sei. Facci qualcosa. – (rimasta in sottoveste, si contempla la vita con le mani sui fianchi) – Ci voglio una cintura, bella strizzata qui. E non m’importa un fico secco se le ausiliarie non la portavano.

 

BEULAH – Peggio per le ausiliarie, Pasticcino. Lascia fare a me. Su le braccia… – (Clara esegue, e Beulah le infila la camicetta) – Prendi lo specchio, Dotty.

 

DOTTY (timidamente, avvicinando un grosso specchio a figura intera) – Ha visto i fiori, Miss? Cinque mazzi e due cesti, oggi.

 

CLARA (mentre Beulah le infila la gonna da sopra la testa) – Fammi indovinare: Dick, Buddy, Coop, Scribacchino Saunders, l’ufficiale pilota dell’Ohio, Charlie dell’altro film… – (si vede nello specchio) – Oh!

 

DOTTY (adorante) – Com’è bella, Miss!

 

CLARA (scuote rabbiosamente la gonna, un arnese ampio e lungo fino a metà polpaccio) – Cacchio, Dotty, ma non ce li hai gli occhi? Sembro mia nonna!

 

BEULAH – Sembri una scolaretta, ma non vuol mica dire che non puoi mostrare un po’ di gambe.

 

CLARA – E come no? Mentre saltello come un capriolo intorno a quell’automobile? Aspetta. – (afferra Dotty per un braccio e la trascina verso il tavolino da caffè) – Dotty, infilati là sotto e fai Buddy.

 

DOTTY – Io? Io faccio Mr. Rogers? Ma Miss…

 

CLARA – Fingi di riparare la macchina, mettitici sotto. – (Dotty esegue goffamente) – Sotto, pastafrolla! – (indietreggia fino all’arco)

 

DOTTY (sotto il tavolino) – La crestina…

 

CLARA – Io arrivo, – (si avvicina saltellando e facendo danzare la gonna) – Si vede qualcosa, Beulah?

 

BEULAH – Giusto un po’ di polpaccio. 

 

CLARA – Sta’ a vedere, allora. Mi guardo in giro… – (si pianta a gambe larghe e mani sui fianchi, e si gira a destra e sinistra con abbastanza energia da sollevare l’orlo della gonna) – Adesso?

 

BEULAH – Niente.

 

DOTTY (sotto il tavolino) – Mi si stropiccia tutta l’uniforme, Miss…

 

[continua…]

 

 

Chiara Prezzavento

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D’ombre vive – Renzo Brollo (Tapenoon)

D’ombre vive

  

Più la guarda e più lei sbiadisce. Continua a non capire. L’ha raccolta a mezzogiorno, appena prima di varcare il casello autostradale. Il braccio teso, il pollice pallido e delicato alzato verso il sole (un piccolo obelisco in onore di una divinità incandescente) e l’enorme zaino che la sovrasta come una rocca col suo bel paesino, il cartello Roma appoggiato al guardrail, la ragazza gli ha sorriso da lontano, come se già avesse intuito nel suo sguardo nascosto dagli occhiali da sole che lui si sarebbe fermato. Di solito non accetta nessuno accanto a sé. Il suo viaggio deve cominciare e concludersi senza soste, tirare dritto, deve trapassare più che trascorrere. Eppure oggi non ha resistito. Ha caricato lo zaino nel bagagliaio, ha aspettato che lei si allacciasse la cintura e poi è ripartito, lasciandole l’onere di pronunciare la prima parola. Ma non è successo. Durante tutto il viaggio la ragazza ha continuato a fissare la strada avanti a sé e a sorridere estasiata, come se per la prima volta vedesse il mondo là fuori. All’inizio ha pensato fosse muta, ma qualche cosa gli diceva che non era così. Eppure non ha osato domandare, avvertendo un blocco alla gola e un disgusto dentro al palato ogni volta che l’idea di parlarle lo sfiorava. Con l’ostinazione dei maschi, ha fissato la strada e le auto più lente della sua e si è incuneato tra le bretelle autostradali e gli arabeschi degli svincoli sopraelevati, inseguito dalla luce forte che non sembra voler cedere il passo alla sera. Non ha nemmeno acceso la radio perché la sfida, anche se non apertamente dichiarata, di chi pronuncerà la prima parola sia più difficile. Per distrarsi e costringersi a non emettere alcun suono, di sottecchi si è messo a spiare l’ombra della ragazza, oblunga e netta, che si staglia dentro al suo abitacolo. La sagoma scura si allunga fino alla sua mano, stretta attorno al cambio, e, come se stesse giocando, non appena le dita si spostano sui pulsanti della radio, anch’essa li segue, come a volerli indicare. La luce del sole penetra decisa e ancora violenta dal finestrino e la strada sembra puntare apposta verso quella direzione che permette ai raggi di colpirli meglio e con ferocia. L’ombra della ragazza continua il suo inseguimento alle dita: dal cambio alla radio, dalla radio alla leva del tergicristallo, da quella al blocco della cintura di sicurezza. L’uomo non sa spiegarlo, il tutto è incredibilmente curioso, ma non vuole perdere la sfida. Sa che il sole tra poco dovrà per forza calare dietro alle montagne, perché gli Appennini sono laggiù, sempre più vicini. E quando i primi crinali incupiscono la carreggiata e i suoi abitanti, anche il sorriso della ragazza sbiadisce e il suo corpo comincia a scomparire. L’uomo la guarda e non capisce. E più non capisce più la guarda e più lei sembra sbiadirgli sotto al naso. L’ombra non gioca più con le sue dita, stanca e dai contorni incerti e quando il sole non ce la fa più a tenersi a galla, lasciando il posto a un crepuscolo improvviso, della ragazza seduta accanto all’uomo non c’è più traccia. E se non fosse per quello zaino che ancora rotola dentro al bagagliaio e quel cartello con su scritto Roma che ondeggia tra i sedili, l’uomo giurerebbe di aver raccolto dentro la sua automobile una dolce, preziosa e giovane meridiana.

 

 

Renzo Brollo

nickname: Tapenoon

renzobrollo@virgilio.it

http://tapenoon.myblog.it/

Twitter: @RBrollo

La mente e il cuore – Antonia Casagrande

La mente e il cuore

 

Sei nel cuore

e nella mente

ogni giorno

più presente.

Sei il pensiero

che mi sveglia

il mio cippo

nel sentiero.

Mi raggiungi

nella sera

nella notte

ti congiungi

con la pelle

mia sincera.

Incredibile tormento

più tu taci

più ti sento.

Sei nell’anima

e nel corpo

ti nascondi

nell’abbraccio

dalle impronte

nel deserto

in un’oasi

ti rintraccio.

 

 

Antonia Casagrande

email: antonia.casagrande@virgilio.it

account twitter: @antoniacasagra1

Alberi bui e stelle – Emma Pretti

Alberi bui e stelle

 

Alberi vaghi puntati alle stelle.

Loro vaghe non sono

Vette e cristalli d’altitudine

Fiamme vibranti di neve incandescente.

Fuochi di un significato inesistente

Che latrando percorre l’universo.

 

 

Emma Pretti

Blog:  www.emmapretti.wordpress.com

twitter:  @Emmapretti

Porci comodi – Renzo Brollo (Tapenoon)

Porci comodi

  

  • Vede dottore, il fatto è che la mia vita è un vero macello. Sono ansioso, mangio male, mi sento continuamente spiato. Ho talmente tante fobie che ho finito per proiettare le mie ansie e somatizzarle. Guardi qui che unghie nere. Sto di pezza, dottore.
  • Mmh, vada avanti…
  • Ecco, forse dovrei parlarle di mia madre…
  • Mmh, vada avanti…
  • Beh, era una vera porca, mi passi il termine. Pelle rosea, tette enormi, quando si accoppiava grugniva e lo faceva talmente forte che la sentivano tutti. Io e i miei nove fratelli, che dormivamo poco lontano, ci vergognavamo come cani, ma a lei non fregava niente e continuava a grugnire imperterrita.
  • Mmh, vada avanti…
  • Insomma, credo che con quel suo modo di fare e con quella sua vita da vera maiala, mi abbia trasmesso un sacco di paure. Così, per osmosi, puff! Prima stavo bene e poi, ecco che mi tremavano anche le orecchie. Agorafobia, aracnofobia, vertigini, paura di volare, forse sono diventato anche vegano per colpa sua. Mi fa senso gran parte di quello che mi ritrovo sotto al naso all’ora di pranzo, invece prima ingoiavo di tutto. Vede, sono tutto pelle e ossa. Così non va, così non va proprio.
  • Mmh, vada avanti…
  • Sa, ero fiero della mia pancia a tazza. Mi chiamavano il vietnamita, perché ero il più carino di tutti. Curve sinuose, sguardo simpatico, novanta chili addomesticati dal mio buon carattere. I miei fratelli mi consideravano il loro capo, posso dirlo senza paura di sbagliare e anche mia madre stravedeva per me. Poi, però, è arrivato quel tipo e tutto è cambiato. Lo chiamavano il Moro Romagnolo. Un vero porco. E lo dico con cognizione di causa, dottore. Siccome veniva dalla Romagna, per forza doveva essere bello come un bagnino, coraggioso come un bagnino, abbronzato come un bagnino, villoso come un bagnino. Invece io dico che era inutile come un bagnino, antipatico come un bagnino, irsuto come un bagnino e brutto come un bagnino. Aveva un naso bitorzoluto buono per farci una meridiana e la testa lunga che potevi scambiarlo per una cornamusa vecchia e puzzolente. Però aveva quel non so che e piaceva agli altri e, quando arrivava lui, giù tutti a starnazzare e gracchiare e guaire dalla gioia. Oh, ciao bel Morettone, oh ecco che arriva il bel Romagnolo, quanto sei figo, perché non razzoli da queste parti dopo? – Puah, un vero schifo. E mia madre in testa alle altre porche come lei.
  • Mmh, vada avanti…
  • Beh, questo sarebbe già abbastanza, no? Lei che dice? Quel tizio faceva proprio i suoi porci comodi. Un giorno, però, il bel Romagnolo sparisce e nessuno lo vede più. Era dicembre, me lo ricordo bene perché faceva un freddo becco e tutti noi fratelli ci stringevamo uno addosso all’altro per riscaldarci. Quel maledetto posto era uno schifo, un vero porcile se capisce cosa intendo dire. Lercio, freddo, che anche le piattole usavano le ciabatte per non beccarsi strane malattie. Ma, insomma, era casa nostra e ci eravamo affezionati. Ad ogni modo, quel giorno ce ne stavamo lì ad ascoltare le cazzate che il Moro raccontava per accaparrarsi le attenzioni di nostra madre e delle sue amiche, quando entra un tizio, alto e puzzolente quasi quanto lui. Viene da noi, ci guarda uno per uno e poi si avvicina al Romagnolo. Gli dice qualche parolina e tutti noi sghignazziamo perché ci pare proprio lo stia pigliando per i fondelli. Bello lui, ninìn, dice e intanto gli strofina sulla fronte una cosa che sembra una trombetta d’ottone. All’improvviso il Romagnolo si stende a terra, lo sguardo beato e fisso e poi il tizio se lo porta fuori, tirandolo per il naso. Io penso – vuoi vedere che si è fatto ipnotizzare come un allocco? Vedrai che tra un paio d’ore ce lo ritroviamo di nuovo tra le scatole  con una serie di enciclopedie mediche da pagare a rate. Se ne sentono talmente tante sulle tecniche di persuasione occulte, che non mi meraviglierei se quel tipaccio fosse un venditore porta a porta. Invece non si è più fatto vedere e mia madre ci è rimasta di merda. Scusi, il linguaggio dottore, ma non sono abituato a parlare con persone istruite come lei…
  • Mmh, vada avanti…
  • Ecco, tutto sommato io e i miei fratelli eravamo felici che il Romagnolo non si fosse più fatto vedere. Anche mia madre mi pareva essersi messa il cuore in pace. Si comportava al solito modo, ancora bella con quella sua pelle rosea giovanile. Invece, com’è come non ‘è, un brutto giorno si spalanca la porta di casa e fa il suo ingresso un buzzurro tutto scuro. Non che io sia razzista, anzi, ma questo qui aveva un colore stranissimo. Grigio canna di fucile, con riflessi cobalto. Sembrava finto. Ecco, tutti noi ci siamo zittiti e lui s’è fatto sotto, puntando subito mia madre. Ahi, ci risiamo, ho pensato immediatamente. E avevo ragione. Quel tizio era peggiore del Romagnolo, per quanto possa sembrare impossibile. Si dava certe arie. Sono di stivpe veale io, diceva mangiandosi la erre, pvovengo dalla Slavonia, io. E vaffanculo la Slavonia con tutti i suoi abitanti! Scusi ancora dottore, ma non ci sto con la testa, mi capisce no?
  • Mmh, vada avanti…
  • Quel tizio, diceva di chiamarsi Ettore, era orribile anzi che no. Eppure tutte stravedevano  per lui, che la passione per il Moro Romagnolo in confronto era solo un’infatuazione da dieci minuti. Cadevano letteralmente ai suoi piedi. Mia madre in testa, naturalmente. Brutta maiala lei e le sue amiche. Invece, a noi ricordava solo un grande immondezzaio deambulante. Puzzava da far schifo, ogni volta che ce l’avevo accanto durante la pausa pranzo mi passava l’appetito. Ettore dalla Slavonia, peggio di te c’è solo una fogna a cielo aperto, pensavo. Eppure è così che va il mondo, no dottore? Non sono i più bravi e buoni a dettare le regole, ma i più furbi e carismatici. Puoi essere in gamba quanto vuoi, ma quello che conta è la personalità. Se non ce l’hai, sei carne da macello e niente di più. Ecco, la differenza tra noi e lui era questa: lui il carisma ce l’aveva, anche se sotterrato da strati di puzzo e pelo, mentre noi eravamo puliti e simpatici, ma senza mordente. Sicché a noi nessuno ci badava, mentre lui era sempre al centro dell’attenzione. Guardato a vista, controllato, riverito. Pure lui faceva i suoi porci comodi, come il Romagnolo. Quando ci mettevamo in coda per mangiare, lui era sempre il primo, privilegiato e coccolato. Forse che venire dalla Slavonia non era poi una brutta tanto cosa. Cavi vagazzi – ci diceva – compovtatevi bene, pevché oggi si è, domani chissà che cosa può succedevci. – Non le pare una cazzata, dottore?
  • Mmh, vada avanti…
  • Beh, ecco. A noi queste boutades ci facevano venire il nervoso e il sangue amaro e pensavamo pure portasse sfiga. Tant’è che pure lui, sempre in dicembre ora che ci penso, è sparito e non è più tornato. E ora che mi ci fa pensare, dottore, sempre trascinato fuori dallo stesso venditore porta a porta della volta precedente. Anche lui ipnotizzato come un allocco, cono quel coso a forma di trombetta d’ottone. Ha presente di cosa sto parlando?
  • Mmh, vada avanti…
  • Andare avanti dice lei… insomma, che altro posso dirle, dottore? La mia vita è costellata di abbandoni. Alla fine mia madre ha deciso che eravamo troppo grandi per stare con lei e ci ha sbattuti fuori. Tutti e dieci, noi figli buoni come il pane. Di punto in bianco ci siamo trovati in viaggio su di uno strano autobus che ci ha portati fino a qui. Non che il posto sia brutto, ma Parma non la conoscevo prima d’ora. Dicono si mangi dell’ottimo prosciutto, ma io non l’ho mai assaggiato. Mi sa che fa senso, come il caviale e il tartufo. Sicché preferisco restare sul classico e mangiare pizza. Ma, a quanto pare, qui non la fanno e non riesco a mangiarne.
  • Mmh, vada vanti…
  • Ma non sa dire altro che – mmh, vada avanti – lei? Non è che la sto pagando per ascoltarmi e basta, lo sa? Dovrebbe dare anche una soluzione ai miei problemi. Come dice? Questa sarebbe la cura? Mi faccia leggere, vediamo un po’. Rifilatura, salatura, pressatura, riposo, lavaggio, stagionatura, sugnatura, puntatura, marchiatura…. ma che è questo posto, una specie di Spa Wellness o una cosa del genere? Che figata! Fanghi, trattamento col vapore, insaccati dentro un asciugamano caldo al gusto mentolo. No? Niente mentolo, dice? Sale e pepe? Ma che razza di trattamenti di bellezza fate da queste parti? Certo voi parmigiani, avete gusti strani. Ma va bene, mia madre diceva: chi vuole abbellir, deve soffrir. Mi dica dove devo firmare per la privacy e poi mi faccia andare. Non vedo l’ora di stendermi con la pancia all’aria e, per una volta, farmi anche io i miei bei porci comodi.

 

 

Renzo Brollo

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